RASSEGNA STAMPA

LIBERAZIONE - Polemiche tra Rifondazione e Italia dei valori all'indomani della sentenza

Genova, 15 novembre 2008

Polemiche tra Rifondazione e Italia dei valori all'indomani della sentenza

Diaz, ora Di Pietro vuole la commissione d'inchiesta Ma fu lui che l'affossò I pochi condannati non ci stanno a fare da capro espiatorio. I pm si trincerano dietro il no comment. Le vittime della mattanza oggi si incontrano a Genova. Tutti aspettano le motivazioni - tra novanta giorni - per ricorrere in appello. Uno striscione degli occupanti dell’università recita: “Assoluzione e movente lo stesso delitto”, come accade spesso, l’immaginario dei movimenti genovesi pesca tra i versi del concittadino De André. A sera gli studenti dei licei inscenano un partecipato corteo per le vie del centro

Checchino Antonini

"Assoluzione e reato, lo stesso movente". Come accade spesso, l'immaginario dei movimenti genovesi pesca tra i versi del concittadino De André. Con queste parole scarabocchiate su un lenzuolo, i pochi universitari restati in città nel giorno della manifestazione nazionale, hanno seguito il corteo di centinaia di liceali per contestare Marcegaglia in convegno al Porto Antico. Ma non gli è stato possibile sfiorare il tribunale dove, la sera prima, molti di loro erano tra il pubblico ad aspettare la sentenza Diaz. Poi di corsa a prendere il treno per Roma. Francesco, di "guardia" all'occupazione di Balbi 4, il polo delle facoltà umanistiche, commenta la «sentenza provocatoria», dice che è un segnale politico lanciato nella stessa lingua che adopera Cossiga quando dà lezione di repressione.
«Genoa 2001 è la nostra piazza Fontana», dice a Liberazione, Walter Massa, presidente di Arci Liguria. Assieme al suo presidente nazionale, Paolo Beni, si domanda ancora se sia possibile che «alcune mele marce l'abbiano fatta in barba a tutti i più importanti poliziotti d'Italia?». Perché è andata proprio così, «come nel medioevo - dice Massa - pagano i più deboli, anche tra i poliziotti». Il giorno dopo vengono in mente i numerosi segnali di ostilità, indifferenza del tribunale, le irrituali interruzioni, la tolleranza verso i toni dei difensori minacciosi verso i pm che adesso come tutti aspettano, trincerati dietro i no comment, di poter leggere le motivazioni tra 90 giorni. Poi faranno appello. Come tutti: vittime e condannati che non ci stanno a sentirsi dei capri espiatori. Tutti a porsi la medesima domanda dell'Arci. E ci sono reati, come il falso, che hanno una prescrizione più lenta (12 anni e mezzo).
«Eppure la tesi dell'accusa reggeva», ripete uno degli avvocati di parte civile, Emanuele Tambuscio del Genoa legal forum. Infatti, le difese dei 29 imputati non sono riusciti mai neppure a screditare le vittime, 93 persone arrestate illegalmente, 61 delle quali ferite gravemente. Tutte hanno retto bene le insidie dei controesami. Però sono stati condannati solo Canterini, il capo del nucleo sperimentale antisommossa, il suo vice, i suoi capisquadra e il funzionario che portò le molotov e il suo autista. Assolti i firmatari dei verbali che convalidarono una perquisizione tanti nulla quanto sanguinosa, tutt'altro che "normale" come predicarono De Gennaro e il suo portavoce di allora. Gabrio Barone, presidente della prima sezione del tribunale dice che non c'erano prove per dimostrare che si trattasse di un'operazione preordinata per effettuare il maggior numero di arresti. Restano dei buchi neri che le motivazioni faticheranno a spiegare: «Troiani (condannato, ndr) non dice mai di aver trovato le molotov nel luogo "ben visibile a tutti e aperto" di cui parla il verbale. Uno dei compilatori, Mortola (capo della digos locale, assolto come i suoi colleghi) dichiarò ai pm che nessuno di loro sapeva dove fossero state rinvenute le molotov. La Cassazione è chiara: un pubblico ufficiale può verbalizzare solo ciò che vede o ciò che fa», continua Tambuscio. Tuttavia non è bastato alla corte per condannare chi firmò un verbale pieno di bugie come quella che i perquisiti furono edotti della facoltà di avvalersi della presenza dei legali. A sbarrare la strada ad avvocati e parlamentari c'era il portavoce di De Gennaro quella notte. Tra due settimane si saprà se il Negroponte italiano sarà rinviato a giudizio per istigazione alla falsa testimonianza dell'allora questore di Genova.
Il giorno dopo la sindaca Marta Vincenzi torna sull'esigenza di una commissione di inchiesta. Rifondazione l'ha chiesta per sei anni di fila. Di Pietro, invece, tuona dalla lontana Chieti che adesso la vuole anche lui quella seria inchiesta parlamentare che volle affossare nello scorcio di vita del gabinetto Prodi. Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione fa sapere che le parole di Mister Mani Pulite siano quanto meno da «sepolcro imbiancato»: «Quando l'Unione era maggioranza e noi la proponemmo non si fece per colpa delle sue resistenze e di parti del Pd. Se oggi arriva questa sentenza è anche colpa del centrosinistra che non ha voluto fare chiarezza quando poteva». Una vicenda che Graziella Mascia, all'epoca deputata Prc, conosce perfettamente: «E' indecente chiedere ora la commissione; significa prendere in giro ancora una volta le vittime della Diaz. Era il 30 ottobre del 2007: l'Idv votò contro, insieme all'Udeur e a tutto il centrodestra, nonché l'assenza di due deputati socialisti. La votazione finì 22 a 22 e per un voto la commissione venne affossata».
A stimolare la riflessione ci sarà, stamattina a Genova, un convegno - con Pisapia, Guadagnucci, Giuliano Giuliani, Agnoletto e altri - sull'impunità, parola chiave di questo ciclo di processi alle polizie del G8. Da qui potrebbe venire anche la proposta di una prima risposta di massa all'ennesima sentenza scandalosa. Una miscela di «condanne miti e assoluzioni pesanti per le forze del disordine e di condanne mostruose ai manifestanti», dice Bernocchi, dei Cobas, polemico con la sinistra istituzionale: «Il messaggio è che i movimenti sono soli». «Qualcuno vuole un ritorno agli anni di piombo», è la lettura di Gigi Malabarba di Sinistra critica che invita a riflettere sullo strapotere di De Gennaro, oggi capo dei servizi segreti. Uno dei portavoce del Gsf di allora, Alfio Nicotra, ora responsabile movimenti del Prc denuncia la «sentenza di regime: i giudici hanno legittimato uno scempio che ora potrà ripetersi di nuovo».